Roma, Pellegrini da idolo a capro espiatorio: ora l’addio è vicino
Qualche anno fa era l’idolo dei tifosi, oggi il capro espiatorio di una situazione drammatica: Pellegrini riflette sul suo futuro e sull’ipotesi di salutare la Capitale
In casa Roma non sembrerebbe esserci fine al dramma. Prima con De Rossi, poi con Juric e oggi con Ranieri la situazione è sempre più drammatica. La zona retrocessione dista solamente due punti e la sconfitta contro il Como ha fatto riaffiorare quelle paure che erano state nascoste sotto al tappeto dopo la vittoria per 4-1 contro il Lecce allo Stadio Olimpico. Individuare la causa di una prima parte di stagione ormai disastrosa è complicato, probabilmente perché una vera e propria motivazione non c’è. Più semplice, senza dubbio, dividere le responsabilità tra società , squadra e allenatori, tutti con percentuali diverse anche in base ai momenti. Dall’esonero di Daniele De Rossi si era capito che qualcosa già si era rotto, forse anche prima, vista la partenza tutt’altro che entusiasmante della squadra. Da quel momento è iniziata la contestazione: i tifosi contro la proprietà , contro la squadra con particolare riferimento ad alcune individualità .
La contestazione a Pellegrini
Tra i giocatori più contestati è rientrato anche Lorenzo Pellegrini. Il capitano è stato giudicato il maggiore responsabile di un inizio da incubo e, soprattutto, colpevole di aver chiesto l’esonero di De Rossi secondo voci che, stando a quanto giunge da Trigoria, sarebbero basate sul nulla cosmico. Da lì, i fischi dello Stadio Olimpico arrivati durante le partite della Roma, ad ogni tocco del pallone, ma anche in occasione della sfida di Nations League contro il Belgio, quando il numero 7 era partito titolare per poi essere espulso alla mezz’ora di gioco. Tutti contro Pellegrini. Da idolo perché erede del romanismo lasciato in eredità da Totti e De Rossi, a capro espiatorio di un momento da incubo.
Il capro espiatorio di una stagione disastrosa
Storicamente per la Roma il 2024 lascerà il segno. Dalle ambizioni Champions League di quest’estate, a una grottesca lotta per non retrocedere. Sugli spalti dello Stadio Olimpico si diffonde il malcontento, la delusione e la frustrazione nel vedere una squadra capace di vincere solo tre partite nelle ultime nove, l’ultima in Coppa Italia contro le riserve della Sampdoria. Individuare i colpevoli è la reazione spontanea di un pubblico che cerca spiegazioni per una situazione drammatica e l’irraggiungibilità dei Friedkin, ampiamente contestati, ha portato i romanisti a individuare nella squadra l’elemento che più di tutti si prestasse alla retorica del grande colpevole. Pellegrini diventa così il bersaglio di fischi e insulti, il giocatore da massacrare perché non più quello di qualche anno fa, quando per la Curva Sud era il capitano, il degno rappresentante del popolo giallorosso. Un amore che è durato poco, una scintilla che non ha scatenato la fiamma o, meglio, che oggi ha portato a un vero e proprio incendio, nell’accezione negativa del termine.
L’addio oggi è quanto mai possibile
Tutti hanno voltato le spalle a Lorenzo Pellegrini. Il gol contro il Lecce gli ha permesso di tornare a sorridere, ma lo fa da solo, insieme a Claudio Ranieri che è l’unico che gli ha teso la mano, da vero sir, ma più sul lato umano che quello sportivo (una presenza da titolare su sei). Non sarà un Natale felice per ‘Pelle’, tutt’altro. Il suo futuro è un’incognita, come la stagione della Roma. Quell’amore per il giallo e il rosso, per la lupa capitolina, rischiano di culminare in un addio che potrebbe consumarsi nel mese di gennaio, quando stando alle ultime indiscrezioni dovrebbe lasciare la Capitale, dopo aver raggiunto 300 presenze con la Roma lo scorso mercoledì in Coppa Italia nel pieno anonimato. Ora il destino lo costringe a riflettere sulla sua carriera: vale la pena restare? Anche se tutto sembra ormai compromesso? Le feste gli serviranno per riflettere, gennaio è ormai vicino e tutti attendono una decisione, con la stragrande maggioranza dei romanisti che spera in una separazione, dimenticando quel che è stato, dimenticando quel che ha dato.
Niccolò Di Leo